La Cittą dei Ragazzi

Si chiamano Alì, Mohammed, Francisco, Ivan. Hanno quindici, sedici anni. Vengono dal Maghreb, dal Bangladesh, da Capo Verde, dalla Nigeria, dalla Romania, dall'Afghanistan. Sono arrivati in Italia nei modi più strani, spesso per noi inconcepibili: a piedi, nascosti sotto i camion. Devono imparare a leggere, scrivere, trovare un lavoro e rendersi autonomi. Ma soprattutto avrebbero bisogno di crescere e diventare grandi. E' un fiume tumultuoso d'umanità lancinante di cui vediamo soltanto la foce, sui banchi di scuola, per strada. Eraldo Affinati ha deciso di scoprire la sorgente, cioè i luoghi e le ragioni profonde che spingono questi adolescenti a lasciare case, lingue, madri e padri per sfuggire a guerra, povertà, miseria. Così, dopo aver conosciuto Omar e Faris nella Città dei Ragazzi, la storica comunità alle porte di Roma, fondata nel secondo dopoguerra dal sacerdote irlandese John Carroll-Abbing, li ha riaccompagnati in Marocco, al limitare del deserto, da dove erano partiti quasi bambini. Questo viaggio nello spazio e nel tempo alla ricerca delle radici strappate, insieme alle storie degli altri ragazzi, si trasforma presto, nella coscienza dell'autore, in una drammatica riflessione sulla paternità, assente o presente, vera o posticcia, perduta o ritrovata, capace di coinvolgerlo in prima persona facendogli intrattenere un colloquio sofferto e segreto col genitore scomparso, a sua volta figlio illegittimo, orfano e privo di guida. Nell'intensità dell'esperienza vissuta, esistenziale e stilistica, Eraldo Affinati, con la premura dell'insegnante e la determinazione dello scrittore, ha cercato gli strumenti per affrontare, fuori e dentro se stesso, una delle emergenze oggi più gravi: quella educativa. E – come era accaduto a Lorenzo Milani a Barbiana, come accade nella vita – ci dice che spesso i gesti, i fatti e i silenzi contano più di molte parole, e che sono gli ultimi della Terra, i più inermi e vessati, a insegnare a noi le vie della giustizia e della pace.

 

 

 

 

 
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