Pace (e Guerra)

   La scuola stava per finire. Cominciava a far caldo. I finestroni erano spalancati, ma noi sentivamo freddo. Avevo appena letto in classe, a voce alta, un brano del Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern: la battaglia di Nikolaevka! I russi non vogliono far passare gli alpini in ritirata e questi si fanno largo, in mezzo alle isbe, correndo da un carro armato all’altro con le bombe a mano, i fucili, la mitragliatrice sulle spalle. Le pallottole s’infilano a terra miagolando. Gli uomini entrano nelle case, piazzano i mortai sui tavoli coperti da tovaglie ricamate. I feriti si lamentano. I bambini piangono.


   I ragazzi, studenti del terzo anno dell’istituto professionale “Carlo Cattaneo” di Roma, erano stati attenti come raramente accadeva. A un certo punto, Edward, moldavo delle campagne di Chiscinau, alzò lo sguardo verso di me. Decifrai la sua emozione.
   “Mio nonno ha combattuto questa guerra.”
   “Cosa ti disse?”
   “I soldati dalla fame si mangiavano gli stivali.”
   “E’ ancora vivo?”
   “No. Morì quando ero piccolo. Mi ha lasciato il cappello.”
   “Dove lo tieni adesso?”
   “Ce l’ha mia madre nell’armadio grande della camera da letto. E’ grigio con la stella rossa.”
   I compagni pendevano dalle sue labbra. Avrebbero voluto saperne di più, ma Edward sembrava aver finito il racconto. Stava rimettendosi zitto quando Alessio intervenne.
   “Anche mio nonno stava in Russia. Si chiamava Silvestri. Era abruzzese.”
   “Tornò sano e salvo?”
   “Eccome! Però anche lui è morto. Mi parlava sempre della guerra.”
   “Io conosco Mario Rigoni Stern. Volete scrivergli?”
   “Sì.”
   “Allora domani portatemi una vostra lettera e gliela farò avere.”
   La bidella entrò nell’aula con la scopa e il secchio. Eravamo andati oltre l’ora di lezione. I ragazzi, quasi fossero usciti da un incantesimo, cominciarono a fare la cartella. Rapidamente si dileguarono. Edward e Alessio arrancavano per ultimi. Li vidi confabulare, poi si diedero il cinque con la mano destra aperta. Uno schiocco potente.
   “Cosa state facendo?”
   “A professò”, gridò Damiano, “amo fatto a pace!”
   Ivan, a due passi da lui, annuì ridendo.


   Qualche mese dopo, consegnai le lettere dei miei due studenti a Mario Rigoni Stern. Il vecchio sergente volle rispondere a entrambi. Queste furono le sue parole.
   “Caro Alessio, tuo nonno era davvero molto in gamba e, se era quel Silvestri del battaglione sciatori Monte Cervino, lo incontrai. Comunque fosse, voglio dirti che gli alpini abruzzesi sono i migliori uomini che ho conosciuto. Seri, di poche parole, precisi e sicuri nell’amicizia. E anche bravi alpinisti. Ti ringrazio per gli auguri, ora vado verso gli 86, lavoro ancora ma mi stanco. Ti saluto e ti auguro una bella promozione e buone vacanze.”
   “Caro Edward, da San Pietroburgo (allora Leningrado) mi ha scritto un vecchio capitano dell’esercito sovietico. Leggendo un mio libro tradotto in Russia, ha capito che il 26 gennaio 1943 ci siamo trovati di fronte, che ci siamo sparati l’uno contro l’altro, ma che per fortuna non ci siamo colpiti. Siamo due amici. Come tu e Alessio. Ti ringrazio della tua lettera e ti auguro buona salute gioiosa.”
   Sì, Mario, credo sia questa la vera pace.

ERALDO AFFINATI

Io parlo da cittadino. Viaggio tra le parole della Costituzione Italiana. Regione Toscana, 2008.

 
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