Italiani anche noi. Corso di italiano per stranieri. Il libro della scuola Penny Wirton

Questo libro nasce da un sogno: insegnare la lingua italiana agli stranieri come se parlare, leggere e scrivere fossero acqua, pane e vino. Senza voti. Senza registri. Senza burocrazie. Lavorando sul presente con chi c'è, con quello che abbiamo. Cercando di dare a ognuno ciò di cui lui, o lei, ha bisogno. Matiur entra in aula, sorride, ti stringe la mano e si mette a sedere. Tu subito gli consegni il foglio con la matita e lo aiuti a imparare il verbo essere. Poi, a gruppi sparsi, arrivano gli altri: Abdì, Raissa, Dimitri, Kadigia… Chi già conosce l'italiano e chi invece non sa dire neppure buongiorno. Chi possiede l'alfabeto e chi deve ancora conquistarlo. Chi scrive da destra a sinistra. Chi non sa cos'è il quaderno a righe e chi parla arabo e inglese. Molti sono adolescenti, vengono dai Centri di Pronto Intervento, in attesa di essere destinati a qualche casa famiglia, come "minorenni non accompagnati". Altri sono adulti: operai, badanti, camerieri. Ad accoglierli non c'è una persona sola, ma quattro, cinque, sei, addirittura dieci docenti, pronti a entrare in azione appena compaiono gli scolari. Ho cominciato a insegnare la lingua italiana agli stranieri nella Città dei Ragazzi, la comunità educativa che monsignor John Patrick Carroll-Abbing fondò nel secondo dopoguerra alle porte della capitale per accogliere gli orfani italiani e che in seguito è diventata ostello per giovani in difficoltà. Il metodo pedagogico rimane, ancora oggi, quello dell'autogoverno, teso a responsabilizzare i piccoli ospiti, con il sindaco, gli assessori e la moneta locale. Insieme a Ivan e Hafiz, in Via della Pisana, a Roma, ho capito che le teorie ci fanno perdere tempo prezioso. Bisogna imparare in fretta e sul campo. Allora ci siamo inventati questa scuola dove si potesse rompere la finzione del professore che spiega e dello studente che ascolta. Penny Wirton è il protagonista di una favola composta da Silvio D'Arzo, grande scrittore italiano: la storia di un ragazzo che non ha mai conosciuto suo padre ma che, dopo alterne avventure, ritrova la propria dignità. Penny oggi si chiama Omar, Faris, Arif, Malik, Mustafà, Kabil, Assad… All'inizio eravamo io, mia moglie Anna Luce Lenzi e pochi altri: Nadia Resta, Gianluca Parisi, Marinella Garozzo. Stas' Gawronski ci ha presentato padre Stefano Fossi e abbiamo avuto un paio di locali dai gesuiti della Chiesa di San Saba, sull'Aventino. Un anno. Due anni. Tre anni. I fogli con gli schemi e le illustrazioni, i questionari e gli esempi, andavano crescendo sugli scaffali del corridoio. Le insegnanti, in maggioranza donne, ma anche uomini, aumentavano. Ecco Adele, Pina, Rita, Lina, Gabriella, Claudio, Angela, Tiziana, Anna, Liliana, Rosalba, Giuliana, Daniela, Maria, Arturo, Marisa, Alberto, Chiara, Filippo… Talvolta eravamo affiancati da liceali italiani che venivano a dare una mano e perfino da qualche alunno dell'Istituto professionale "Carlo Cattaneo", Luca ad esempio, che la mattina vestiva i panni dello studente svogliato, poco incline alla disciplina, e il pomeriggio quelli del volontario serio e coscienzioso. Quasi tutti, dopo aver conosciuto Aziz e Sharif, Marina e Irina, tornano la volta successiva, chissà, forse trovando a San Saba ciò che, ai primi del Novecento, Franz Kafka scoprì nella comunità berlinese di assistenza agli ebrei profughi dove operava Felice Bauer: "Qui uno non aiuta, ma cerca aiuto, e da questo lavoro si può ricavare più miele che da tutti i fiori di Marienbad". Le scuole che si richiamano alla Penny Wirton si diffondono da Sud a Nord: in Calabria, con Marco Gatto; a Torino, con Anna Belpiede… Ora è pronto il libro, nel quale ci sono soprattutto esercizi, esercizi, esercizi.Possibilmente senza annoiarsi. Con tanti disegni (d'artista) accanto alle parole. Ecco come è nato il testo che state sfogliando. Venticinque lezioni. Alla fine di ogni capitolo abbiamo inserito un mio breve racconto per invogliare alla lettura i più bravi. I grandi editorispesso pensano che didattica e narrativa debbano essere nemiche una dell'altra. Noi non lo crediamo. Allora, grazie al suggerimento di Walter Nardon, ci siamo rivolti agli amici del Margine. I quali ci hanno detto di sì. E questo è il risultato.

Eraldo Affinati

 
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